Il sig. Grilli, già candidato trombato di Bossi e Tremonti a governatore della Banca d’Italia, ha rilasciato ieri a La Repubblica un’intervista cui è stato dato risalto alquanto. Se ne evidenzia tutta la spudoratezza che caratterizza, tipicamente, l’accolita Monti.
Proclamando “la patrimoniale non appartiene al mio vocabolario” costui afferma “il governo, con l’Imu e i bolli sulle rendite finanziarie, ha già fatto passi importanti per riequilibrare il prelievo, spostandolo dal reddito allo stock della ricchezza“. Non è difficile tradurre in italiano: l’imposta patrimoniale è stata introdotta sì ma per i poveri, sulla casa e sul conto corrente che sono utilizzati non già nella speculazione ma nella vita quotidiana e comunque sono frutto di redditi già tassati all’origine; chi invece detiene grandi capitali e/o proprietà immobiliari finalizzati alla rendita speculativa, e da questa incrementati con poco aggravio d’imposta, può continuare a godersela alla faccia del popolo.
Altra proclamazione del sig. Grilli: “appena sarà possibile ridurremo la pressione fiscale su famiglie e imprese“. Si noti: non riduzione ai cittadini ma alle famiglie, nella linea di quell’osceno familismo fiscale che premia chi più figlia a spese degli altri. Circa le imprese, che pagano le imposte sugli utili, alleggerirne il peso significa semplicemente aumentare i profitti netti della proprietà, i.e. di imprenditori e azionisti, a scapito della fiscalità generale. Alle imprese andrebbero invece tagliate quelle agevolazioni a giungla che costano alcune decine di miliardi di euro all’anno, denaro levato dalle tasche dei cittadini e sottratto alle spese sociali in una modalità redistributiva delle risorse che toglie ai meno abbienti per dare, indirettamente, ai più facoltosi. Quale migliore occasione per misurarsi senza aiutini con quel “libero mercato” cui l’imprenditorame è asseritamente devoto? La tassazione delle imprese si potrebbe semmai alleviare ove si appesantisse invece quella personale degli imprenditori e azionisti che ne traggono lucro e s’intervenisse con misure draconiane sul c.d. “Trasfer Pricing” utilizzato dai furbastri per eludere il fisco dirottando in un paradiso fiscale gli utili conseguiti in Italia all’interno dello stesso gruppo.
La sicumera, infine, con la quale il sig. Grilli proclama “il nostro debito pubblico negli ultimi anni è ricresciuto sino a circa il 123% del PlL non tanto perché sia aumentato il deficit, ma proprio perché è diminuito il Prodotto Interno Lordo. Quindi sappiamo che ci sarà un peggioramento del deficit nominale. Tuttavia la nostra bussola resta il deficit strutturale, e su quello abbiamo e continueremo ad avere le carte perfettamente in regola” viene sbugiardata proprio oggi dalle cifre pubblicate nel supplemento al bollettino statistico della Banca d’Italia dedicato alla finanza pubblica, che attestano come, non in percentuale del PIL ma in cifra assoluta, nello scorso mese di giugno il debito pubblico italiano abbia attinto il nuovo storico record di 1.972,9 miliardi di euro contro i 1966,3 del mese precedente. D’altra parte, come diceva un tale, si può ingannare un uomo per tutto il tempo, molti uomini per un certo tempo, ma non tutti gli uomini per tutto il tempo. Arriverà il momento, spero, che gli Italiani realizzeranno davvero ciò che viene perpetrato a loro danno e finalmente si libereranno nella maniera che al momento risulterà la più opportuna dell’accolita Monti, dei suoi galoppini e dei suoi mandanti.
MS
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Un “sacrario” per un criminale
Giunge notizia che in un paese del Lazio alcuni giorni fa sia stato inaugurato, grazie ai 127.000 euro stanziati dalla Regione ma per un progetto riguardante solo un parco, una specie di “sacrario”, dedicato alla memoria dell’infame Rodolfo Graziani, uno dei peggiori tra i criminali di guerra italiani purtroppo sfuggiti alla giusta punizione.
Non è, il punto, che il Graziani sia stato ministro della “difesa nazionale” della RSI, quando pure emanò il famigerato bando di arruolamento in cui si minacciava la pena di morte ai renitenti: il Badoglio, suo storico rivale e traditore di tutto e di tutti, a cominciare dall’esercito italiano vigliaccamente abbandonato a se stesso dopo l’armistizio, non fu migliore di lui. Probabilmente anzi il Graziani fu spinto ad aderire alla RSI proprio perché il Badoglio già si era riciclato dall’altra parte.
Strillare perché il “sacrario” è dedicato a un “ministro repubblichino”, come han fatto alcuni pidisti, significa perciò solo sviare l’attenzione – inconsapevolmente o meno – dai delitti più orrendi commessi da un tal soggetto. Delitti perpetrati in gran parte nella guerra di aggressione all’Etiopia allorché, insieme al collega-rivale Badoglio cui già l’avevano accomunato svariati crimini in Libia, costui impiegò i gas asfissianti su larga scala. E poi, nel corso dell’ occupazione, quando ordinò varie stragi – tra le quali risalta per efferatezza quella dei monaci copti di Debra Libanos – nonché di terrorismo, devastazioni e saccheggi a danno della popolazione civile. Tutti delitti invendicati.
Condannato nel dopoguerra a diciannove anni di carcere per “collaborazionismo militare” con la Germania il Graziani ne ebbe diciassette condonati e scontò in tutto quattro mesi. Per i crimini commessi in Africa avrebbe meritato come minimo la forca ma grazie all’interessata connivenza dei cosiddetti “alleati”, in particolare dei responsabili britannici, nonché delle autorità italiane dell’epoca, non fu mai incriminato per tali delitti nonostante l’Etiopia ne avesse prodotto una cospicua documentazione e l’ONU riscontrato in via preliminare la sussistenza degli estremi per un processo.
Se si rammenta per esempio che Nicola Bombacci, che non aveva commesso alcun crimine, venne fucilato dai partigiani insieme a vari gerarchi il 28 aprile del 1945, e che numerosi innocenti furono eliminati in quei giorni solo in quanto fascisti (veri o asseriti), la comparativa sproporzione tra delitti e castighi balza subito agli occhi.
Non è il solo, il Graziani, tra i criminali di guerra italiani che siano riusciti a scamparla. I bestiali delitti commessi in Jugoslavia e in Grecia, come quelli di cui fu autore l’immondo Roatta, già capo del Servizio Informazioni Militari e anch’egli protégé dei comandi britannici nel dopoguerra per ragioni inconfessate ma intuibili (Saragat scrisse che “il suo silenzio era d’oro per molte persone”), restano tuttora impuniti e irrisarciti.
Che si consenta l’indecenza di dedicare impunemente un “sacrario” a un criminale che avrebbe meritato di essere impiccato pubblicamente mille volte, mentre nessun luogo è intitolato al ricordo delle sue innumerevoli vittime, può accadere a tutta evidenza solo in un paese in cui il marciume morale dilaga ormai forse irrimediabilmente.
MS