Alcol e droga alla guida, intenzione omicida – parte seconda

L’ideologia liberista, tipicamente, inclina a tutelare il reo – chi ha infranto le regole, che per definizione sono “lacci” – più della vittima che ha subito gli effetti della condotta criminosa (non è un caso se il settore “carceri” costituisce da sempre un cavallo di battaglia di Pannella & soci) a meno che, naturalmente, il reato non abbia colpito qualche potente e/o facoltoso personaggio. Da qui il programmato, strutturale depotenziamento delle norme sanzionatorie che – pur indipendentemente dalla pletorica successione di condoni, amnistie, indulti, prescrizioni abbreviate e quant’altro – mina alle sue stesse basi quella politica della “sicurezza” da cui, ostentatamente e mendacemente, la spudoratezza liberista ha tratto costante alimento per la propaganda elettorale.
Una società, intesa come complesso organizzato di relazioni interumane, che pur non volendo scadere nel securitarismo verboso si  proponga di tutelare seriamente le vittime effettive o potenziali di condotte irresponsabili e socialmente devianti, dovrebbe dotarsi di protezioni adeguate sanzionando quelle condotte con rigore deterrente. Nel caso concreto (guida di veicoli in stato di alterazione psicofisica), sarebbe auspicabile codificare in norma – e non più lasciare al discrezionale apprezzamento del giudice – la previsione generalizzata del dolo eventuale; se non prevedere addirittura che il reato di omicidio volontario sia ravvisabile nel solo atto di condurre un veicolo in stato di alterazione grave, rilevata secondo congrui parametri, che sia tale da mettere in pericolo le altrui vite,  senza necessariamente attendere che queste ne siano stroncate.
Parrebbe una boutade iperbolica, ma la nozione di reato a consumazione anticipata già oggi è applicata alla strage, che non ammette il tentativo. Infatti, secondo l’ottima formula adottata dal giudice di legittimità, “per la consumazione del delitto è sufficiente che il colpevole compia atti che abbiano l’idoneità a cagionare una situazione di concreto pericolo per il bene tutelato e, quindi, si considera come delitto consumato un comportamento, che, senza tale specifica previsione normativa, potrebbe configurare una ipotesi di tentativo” (cass. pen. sez. I, 13/11/1991).
Dunque, analogicamente, l’omicidio volontario con dolo eventuale verrebbe a configurarsi per aver compiuto, mettendosi alla guida senza esserne in condizioni, atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere atti ulteriori tali da porre in pericolo la pubblica incolumità.
Circa il possibile effetto deterrente della sanzione, in particolare, provocatoriamente evocherò un’antica teoria giuridica, caduta in disgrazia sotto il regime “semper pro reo” instaurato dall’indulgentismo cattoliberista, che assumeva come ipotesi di scuola il criterio della massimizzazione della pena. In termini meramente esemplificativi (e volutamente iperbolici), la previsione della pena di morte per il reato di omicidio volontario risulterebbe scarsamente deterrente quando non si presti addirittura a essere colta dal reo come sfida, giacché chi volontariamente uccide potrebbe ben essere mentalmente predisposto a correre una tale alea. Ma la previsione di dieci anni di carcere per lo schiamazzo notturno, data l’evidente sproporzione della pena, verosimilmente indurrebbe i potenziali schiamazzatori a restarsene in silenzio e l’effetto deterrente sarebbe reale.
MS
(continua – la prima parte è di oggi 30 aprile 2011)

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