Prendo a spunto uno dei tanti fatti gravissimi (i due carabinieri selvaggiamente aggrediti in provincia di Grosseto a un posto di controllo da quattro giovani di cui tre minorenni, vedi notizia qui sotto) che accadono troppo spesso in questi anni di sottocultura dell’irresponsabilità; anni intossicati da una perniciosa spettacolarizzazione mediatica degli eccessi di ogni genere e conseguentemente pervasi da modelli liberisti di edonismo in proiezione dei quali tutto sarebbe concesso al di là di ogni regola comportamentale e morale.
Giovani ma anche meno giovani, italiani e stranieri, maggiormente ma non esclusivamente maschi, soggetti che nella quotidiana vita di relazioni appaiono “normali”, si rendono attori di condotte criminali che evidenziano un totale disprezzo di ogni vincolo solidale e comunitario di rispetto degli altri – anche nel senso benthamiano della mera utilità sociale - e financo delle altrui vite. Un panorama drammatico di disgregazione sociale che viene icasticamente reso, ogni giorno, da quanto è dato sapere (e chissà quanto invece non ne viene saputo) dei fatti tragici che accadono, emblematicamente, sulle nostre strade.
Se i carabinieri di cui alla notizia tratta a spunto non avessero fermato l’auto coi quattro che poi li avrebbero aggrediti, un ubriaco in più al volante avrebbe messo in pericolo la sicurezza pubblica.
Mettersi alla guida di un veicolo, cioè di un’arma impropria, sotto l’effetto dell’alcol e/o della droga, è un gesto irresponsabile e criminale che sciaguratamente la Legge, obsoleta, non contempla come delitto gravissimo in quanto tale. In caso di incidente, infatti, anche se mortale, l’apprezzamento della circostanze specifiche è oggi affidato alla sensibilità del giudice. È, questa, una lacuna legislativa che risulta in una grave incertezza del diritto a danno soprattutto delle vittime. Si pensi che lo stato di ebbrezza alcolica, in passato, talora fu persino invocato – rammento un caso di stupro a Roma – quale circostanza attenuante.
Posto che l’assunzione di alcol in ragionevole quantità, diversamente da quella di stupefacenti, appartiene a una plurisecolare cultura che sarebbe inconcepibile ripudiare, va da sé che tutt’altra cosa è assumere alcol fino a stordirsi per mettere poi in pericolo, con la propria condotta alterata, l’incolumità altrui in luoghi pubblici: è comportamento, questo, di tale gravità sociale da risultare incondonabile.
Attualmente, giova rammentarlo, è la giurisprudenza ad avere elaborato il concetto di “dolo eventuale”, con ciò intendendo il sentimento di un soggetto che, pur non volendo scientemente causare un determinato evento ne percepisca comunque la possibilità e ne accetti il rischio quale conseguenza della propria condotta. Diversamente la mera “previsione dell’evento”, accompagnata dalla convinzione di poter evitare l’evento stesso, implica la non accettazione del relativo rischio e dunque, qualora l’evento effettivamente si verifichi, agli effetti giudiziari risulta in una “colpa cosciente”.
Una distinzione molto sottile come si vede, che oggi è il giudice a dover effettuare in relazione a come egli ricostruisca la condizione mentale dell’imputato al momento del fatto. Ma che può produrre effetti enormi: in caso di omicidio, per esempio, il dolo eventuale integrerebbe un reato volontario (con pena fino a trent’anni e teoricamente all’ergastolo) mentre la colpa cosciente risulterebbe in semplice reato colposo (con pena fino a cinque anni).
MS
(continua)
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