Per settimane i mezzi di comunicazione hanno condotto un’intensa campagna a favore della sig.ra Sakineh Muhammadi Ashtiani, la donna che in Iran, a quanto veniva affermato, era stata condannata a morte per lapidazione, sottolineando che era stata giudicata colpevole di adulterio e talora omettendo che era stata ritenuta responsabile anche di concorso nell’omicidio del marito.
Così stando le cose, è naturale che il caso della sig.ra Sakineh susciti l’interesse e la simpatia del pubblico. Me compreso.
Non mi soffermo qui, per brevità, su alcuni correlati temi sui quali pur avrei parecchio da dire: la teocrazia governante nelle sue varie declinazioni; la condizione femminile in molte aree del mondo; l’esecuzione mediante lapidazione; l’uccisione giudiziaria ovvero la pena di morte.
Rilevo solo il fatto, indipendentemente da ogni giudizio sulle attuali istituzioni dell’Iran, che nei confronti di quel paese oggi, come dell’Irak qualche anno fa, è in corso presso la cosiddetta “opinione pubblica” occidentale una insistente campagna propagandistica, nella quale astutamente si fa utilizzo anche di elementi a forte impatto emotivo. Chi possano essere gli ispiratori di una tale campagna risulta piuttosto evidente considerando a chi essa dovrebbe giovare, così come già l’altra che precedette l’attacco all’Irak nel 2003.
La sig.ra Sakineh, a quanto risulta, ancora vive. Non posso sapere se ella sia veramente responsabile, o meno, di concorso nell’omicidio del marito ma, istintivamente, le auguro di vivere ancora a lungo.
Intanto, due giorni fa, negli Stati Uniti d’America è stata uccisa con un’iniezione letale la sig.ra Teresa Lewis, anch’ella giudicata colpevole di concorso nell’omicidio del marito, oltre che del figlio adottivo di lui. La sig.ra Lewis possedeva a quanto si è letto un q.i. pari a 72 e secondo i suoi legali soffriva di un disturbo della personalità tale da consentire ai due uomini, materiali esecutori del delitto, di manipolarne la volontà, come costoro avrebbero pure ammesso in una lettera.
Nemmeno mi soffermo qui, per necessaria brevità, su alcuni correlati temi pur meritevoli di essere sviluppati: gli esiti giudiziari negli Stati Uniti d’America in relazione alle condizioni economiche degli imputati e dunque dell’efficacia tecnica della difesa – quel che ha iniziato a inquinare l’amministrazione di giustizia anche in Italia; l’applicazione della pena di morte ai disabili mentali; la natura effettiva di un sistema che viene magnificato come il paradiso della democrazia e della libertà.
Sta di fatto che la sig.ra Lewis, colpevole o meno che fosse, consapevole o meno che fosse, è stata uccisa in quel paradiso terrestre senza che gli stessi mezzi di comunicazione, impegnatisi nella campagna a favore dell’altra donna, si scomodassero più di tanto. Se pochi giorni prima dell’esecuzione il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad non avesse sollevato, per controbilanciare l’altro, il suo caso, la sig.ra Lewis sarebbe stata uccisa nell’indifferenza pressoché generale.
Il cinismo di una propaganda che non esita a strumentalizzare la vita e la morte ingannevolmente pervade la comunicazione di sottofondo alla nostra vita quotidiana.
Qualche volta la realtà, con uno schiaffo, s’incarica di smascherare quel cinismo. Non si deve pensare che, per questo, i propagandisti provino almeno un po’ di vergogna.
MS
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Il cinismo della propaganda, lo schiaffo della realtà
Per settimane i mezzi di comunicazione hanno condotto un’intensa campagna a favore della sig.ra Sakineh Muhammadi Ashtiani, la donna che in Iran, a quanto veniva affermato, era stata condannata a morte per lapidazione, sottolineando che era stata giudicata colpevole di adulterio e talora omettendo che era stata ritenuta responsabile anche di concorso nell’omicidio del marito.
Così stando le cose, è naturale che il caso della sig.ra Sakineh susciti l’interesse e la simpatia del pubblico. Me compreso.
Non mi soffermo qui, per brevità, su alcuni correlati temi sui quali pur avrei parecchio da dire: la teocrazia governante nelle sue varie declinazioni; la condizione femminile in molte aree del mondo; l’esecuzione mediante lapidazione; l’uccisione giudiziaria ovvero la pena di morte.
Rilevo solo il fatto, indipendentemente da ogni giudizio sulle attuali istituzioni dell’Iran, che nei confronti di quel paese oggi, come dell’Irak qualche anno fa, è in corso presso la cosiddetta “opinione pubblica” occidentale una insistente campagna propagandistica, nella quale astutamente si fa utilizzo anche di elementi a forte impatto emotivo. Chi possano essere gli ispiratori di una tale campagna risulta piuttosto evidente considerando a chi essa dovrebbe giovare, così come già l’altra che precedette l’attacco all’Irak nel 2003.
La sig.ra Sakineh, a quanto risulta, ancora vive. Non posso sapere se ella sia veramente responsabile, o meno, di concorso nell’omicidio del marito ma, istintivamente, le auguro di vivere ancora a lungo.
Intanto, due giorni fa, negli Stati Uniti d’America è stata uccisa con un’iniezione letale la sig.ra Teresa Lewis, anch’ella giudicata colpevole di concorso nell’omicidio del marito, oltre che del figlio adottivo di lui. La sig.ra Lewis possedeva a quanto si è letto un q.i. pari a 72 e secondo i suoi legali soffriva di un disturbo della personalità tale da consentire ai due uomini, materiali esecutori del delitto, di manipolarne la volontà, come costoro avrebbero pure ammesso in una lettera.
Nemmeno mi soffermo qui, per necessaria brevità, su alcuni correlati temi pur meritevoli di essere sviluppati: gli esiti giudiziari negli Stati Uniti d’America in relazione alle condizioni economiche degli imputati e dunque dell’efficacia tecnica della difesa – quel che ha iniziato a inquinare l’amministrazione di giustizia anche in Italia; l’applicazione della pena di morte ai disabili mentali; la natura effettiva di un sistema che viene magnificato come il paradiso della democrazia e della libertà.
Sta di fatto che la sig.ra Lewis, colpevole o meno che fosse, consapevole o meno che fosse, è stata uccisa in quel paradiso terrestre senza che gli stessi mezzi di comunicazione, impegnatisi nella campagna a favore dell’altra donna, si scomodassero più di tanto. Se pochi giorni prima dell’esecuzione il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad non avesse sollevato, per controbilanciare l’altro, il suo caso, la sig.ra Lewis sarebbe stata uccisa nell’indifferenza pressoché generale.
Il cinismo di una propaganda che non esita a strumentalizzare la vita e la morte ingannevolmente pervade la comunicazione di sottofondo alla nostra vita quotidiana.
Qualche volta la realtà, con uno schiaffo, s’incarica di smascherare quel cinismo. Non si deve pensare che, per questo, i propagandisti provino almeno un po’ di vergogna.
MS