Sembra evidente che ogni legislazione di giustizia dovrebbe tener conto della fase storica e della problematica sociale in cui troverà applicazione, ma proprio questo induce a osservare che, per la forte rilevanza assunta nel suo diffondersi da una condotta socialmente irresponsabile come la guida in stato di alterazione – basti vedere le statistiche dei controlli effettuati su strada – e ciò anche in termini di conseguenze pratiche, cioè di vittime, la sproporzione tra una tal condotta e la pena applicabile, ove la medesima si configurasse come omicidio volontario con dolo eventuale, non sarebbe forse così tanto clamorosa.
In ultimo, l’allarmante estensione di simili comportamenti socialmente irresponsabili tra i giovanissimi, si potrebbero ipotizzare soluzioni rieducative adeguatamente rigorose, sia nei confronti dei ragazzi stessi, sia nei confronti delle relative famiglie che il già citato complesso ideologico cattoliberista pretenderebbe “inculcassero” loro i propri valori e che evidentemente non sempre svolgono tale compito – o forse inculcano contenuti devianti perché le famiglie stesse già ne sono impregnate. Comunque sia le famiglie, e non perché siano impropriamente esaltate, portano responsabilità indiscutibili nell’educazione e nell’esercizio di un ragionevole controllo dei figli non ancora adulti, dalle quali responsabilità certamente non possono venire assolte.
Per un verso l’età minima di imputabilità, che attualmente è di quattordici anni, meriterebbe essere riconsiderata. Oggi un adolescente di quattordici anni ha vissuto, mediamente, un’esperienza di crescita assai diversa da uno di cinquant’anni fa. Al punto che per alcuni, pur pochi, essere minori di quattordici anni risulta in una sorta di licenza di caccia nella piena consapevolezza di poter delinquere impunemente.
D’altro verso per chi non sia in età imputabile, in apparente deroga al principio della responsabilità penale individuale dovrebbero essere chiamati a rispondere in qualche misura i titolari della potestà genitoriale che, essendo il minore privo della capacità di agire, per lui agiscono in qualità di rappresentanti anche legali derivando i propri poteri direttamente dalla legge e che dunque non potrebbero essere manlevati dalla responsabilità dell’educazione né da quella di impedire al minore, con idonee azioni, di nuocere socialmente.
Per chi sia in età imputabile, infine, ma non ancora nella maggiore età, forse in luogo del carcere potrebbe giovare un congruo periodo rieducativo in un buon campo di lavoro, che possa indirizzare l’energia vitale propria di un adolescente con appropriate misure da applicarsi nella vita quotidiana (sveglia all’alba, intensa attività fisica, pochi agi e segregazione dai vizi) a un’esistenza socialmente compatibile.
MS
(fine – la prima e la seconda parte sono di oggi 30 aprile 2011)
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