Carbosulcis, un paradigma esemplare

La vicenda Carbosulcis costituisce un icastico paradigma del globalismo maledetto e delle sue regole infami.
La miniera di carbone di Nuraxi Figus, l’ultima in Italia, fu rilevata dall’ENEL nel 1962 ma l’attività di estrazione vi rimase ferma poiché ritenuta non profittevole. Passò poi alla Carbosulcis, costituita nel 1976 dall’Ente Gestione Attività Minerarie e dall’Ente Minerario Sardo, ma nel 1978 l’EGAM fu liquidata e le attività minerarie, tramite la finanziaria SAMIM, passarono all’ENI. L’estrazione riprese però solo nel 1988 quando arrivarono investimenti pubblici per un progetto di destinazione del carbone alla produzione di energia termoelettrica. Con la quotazione in borsa dell’ENI l’attività fu considerata non sufficientemente remunerativa, e la Carbosulcis fu messa in vendita a privati, ma nessuno l’acquistò. Dopo dure lotte dei minatori nel 1996 la Regione Sardegna se ne accollò “transitoriamente” la proprietà, in attesa di realizzare la privatizzazione.
Ora i minatori chiedono di attuare un piano che, avvalendosi di tecnologie avanzate e assicurando un buon livello di rispetto ambientale, integri l’attività estrattiva con la produzione di elettricità mediante la cattura e l’immagazzinamento dell’anidride carbonica. Come risvolto strategico, le aziende del territorio – dove moltissimi posti di lavoro sono oggi a rischio – potrebbero così disporre di energia a prezzo conveniente. Ci sarebbe inoltre la possibilità di creare nuova occupazione, ma entro fine anno il bando di vendita dovrà essere emanato e ai relativi effetti l’attuazione o meno del piano potrebbe risultare decisivo. L’investimento necessitante è stimato in 200 milioni all’anno per otto anni, ma l’ENEL – partner obbligato – nicchia: la UE finanzierebbe un solo progetto di riconversione a emissioni zero per la cattura e l’immagazzinamento dell’anidride carbonica da combustione del carbone e l’ENEL sembra puntare a questo scopo sulla propria centrale di Porto Tolle.
Qui è il punto: a Porto Tolle non si estrae carbone, dunque lo si dovrebbe portare da fuori. Nel Sulcis invece il ciclo potrebbe essere completamente integrato sul territorio. Ma la miniera di Nuraxi Figus opera con tecnologie avanzate e dispone di adeguati sistemi di sicurezza. La scolarità dei lavoratori è medio-alta: si tratta praticamente di tecnici con elevata professionalità. Il costo dell’estrazione è naturalmente più elevato che in paesi, per esempio la Cina, dove nelle miniere di carbone si lavora come cent’anni fa e si muore ancora quotidianamente. Ma quel carbone insanguinato è a basso costo, dunque – in una logica di mero lucro – conviene. Non importa se acquistarlo all’estero ingrasserebbe delinquenti che si arricchiscono uccidendo gli operai delle miniere. Non importa se, nel caso della Cina, si tratta di una cupola mafiosa ancorché conservi, infamandolo, il nome di “Partito Comunista”. Perché la logica del globalismo, anche al netto della finanza criminale che pur ormai lo dirige, è quella di arricchire a dismisura un pugno di mascalzoni derubando i popoli e consegnando alla miseria la stragrande maggioranza delle persone.
In una logica non di caritatevole assistenza, ma di economia sociale, servita dal capitale e non a questo asservita, improntata a una distribuzione non scellerata ma equa della ricchezza disponibile il caso paradigmatico della vicenda Carbosulcis troverebbe la sua soluzione naturale. Temo invece che finirà, se tutto va bene, se i minatori lotteranno duramente, con un ennesimo pasticcio all’italiana all’unico scopo di evitare pericolosi inneschi di rivolta sociale. Ma potrebbe finire anche peggio.
MS

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