Un “sacrario” per un criminale

Giunge notizia che in un paese del Lazio alcuni giorni fa sia stato inaugurato, grazie ai 127.000 euro stanziati dalla Regione ma per un progetto riguardante solo un parco, una specie di “sacrario”, dedicato alla memoria dell’infame Rodolfo Graziani, uno dei peggiori tra i criminali di guerra italiani purtroppo sfuggiti alla giusta punizione.
Non è, il punto, che il Graziani sia stato ministro della “difesa nazionale” della RSI, quando pure emanò il famigerato bando di arruolamento in cui si minacciava la pena di morte ai renitenti: il Badoglio, suo storico rivale e traditore di tutto e di tutti, a cominciare dall’esercito italiano vigliaccamente abbandonato a se stesso dopo l’armistizio, non fu migliore di lui. Probabilmente anzi il Graziani fu spinto ad aderire alla RSI proprio perché il Badoglio già si era riciclato dall’altra parte.
Strillare perché il “sacrario” è dedicato a un “ministro repubblichino”, come han fatto alcuni pidisti, significa perciò solo sviare l’attenzione – inconsapevolmente o meno – dai delitti più orrendi commessi da un tal soggetto. Delitti perpetrati in gran parte nella guerra di aggressione all’Etiopia allorché, insieme al collega-rivale Badoglio cui già l’avevano accomunato svariati crimini in Libia, costui impiegò i gas asfissianti su larga scala. E poi, nel corso dell’ occupazione, quando ordinò varie stragi – tra le quali risalta per efferatezza quella dei monaci copti di Debra Libanos – nonché di terrorismo, devastazioni e saccheggi a danno della popolazione civile. Tutti delitti invendicati.
Condannato nel dopoguerra a diciannove anni di carcere per “collaborazionismo militare” con la Germania il Graziani ne ebbe diciassette condonati e scontò in tutto quattro mesi. Per i crimini commessi in Africa avrebbe meritato come minimo la forca ma grazie all’interessata connivenza dei cosiddetti “alleati”, in particolare dei responsabili britannici, nonché delle autorità italiane dell’epoca, non fu mai incriminato per tali delitti nonostante l’Etiopia ne avesse prodotto una cospicua documentazione e l’ONU riscontrato in via preliminare la sussistenza degli estremi per un processo.
Se si rammenta per esempio che Nicola Bombacci, che non aveva commesso alcun crimine, venne fucilato dai partigiani insieme a vari gerarchi il 28 aprile del 1945, e che numerosi innocenti furono eliminati in quei giorni solo in quanto fascisti (veri o asseriti), la comparativa sproporzione tra delitti e castighi balza subito agli occhi.
Non è il solo, il Graziani, tra i criminali di guerra italiani che siano riusciti a scamparla. I bestiali delitti commessi in Jugoslavia e in Grecia, come quelli di cui fu autore l’immondo Roatta, già capo del Servizio Informazioni Militari e anch’egli protégé dei comandi britannici nel dopoguerra per ragioni inconfessate ma intuibili (Saragat scrisse che “il suo silenzio era d’oro per molte persone”), restano tuttora impuniti e irrisarciti.
Che si consenta l’indecenza di dedicare impunemente un “sacrario” a un criminale che avrebbe meritato di essere impiccato pubblicamente mille volte, mentre nessun luogo è intitolato al ricordo delle sue innumerevoli vittime, può accadere a tutta evidenza solo in un paese in cui il marciume morale dilaga ormai forse irrimediabilmente.
MS

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