Città al voto, aria nuova o riciclata? – parte seconda

Torino
Sembra quasi che a Torino sia in atto da qualche tempo una tecita intesa, per cui al pidista (e antecedenti) di turno, presentando la parte teoricamente avversa candidati senza speranze, si lascia campo sostanzialmente libero. Una città che per dieci anni (1975-1985) visse il privilegio di avere un sindaco come Diego Novelli si ridusse così via via a Castellani, a Chiamparino, ora a Fassino, cui forse maggiormente si addirebbe la panchina ai giardinetti con nipotini e giornale o la briscola al bar ma che porta a casa il 56,66% d’emblée (col PD però fermo al 34,50%). Patetico destino. Se il direttore d’orchestra cambia, la musica resta quella: sviluppismo estremista (TAV, Olimpiadi invernali) e caffè a letto alla FIAT – che non è neanche più quella degli Agnelli ma quella marchionnista degli Elkann – qualunque cosa essa intenda fare.
Il buon risultato del M5S (4,97% al candidato sindaco Vittorio Bertola, 5,26% alla lista) non sembra molto determinante in un tale sonnolento contesto.
Milano
Qui, dopo il botto del primo turno e data l’importanza simbolica del risultato, è forse la maggiore incognita.
Il risultato del M5S (3,22% al giovane candidato Mattia Calise e e 3,43% alla lista) si può archiviare senza infamia e senza lode. Milano, come ha osservato Adriano Celentano nella sua lettera aperta l’11 maggio scorso, non è ancor pronta: “probabilmente quello delle Cinque Stelle, per come siete stati maltrattati fino adesso, è un salto troppo grande anche per voi milanesi”.
Il sorprendente 48,04% di Giuliano Pisapia al primo turno, con le liste in appoggio al 47,26%, è un risultato di grande effetto ben al di là dei numeri. A esso infatti si accompagna l’altrettanto inatteso 41,58% di Letizia Brichetto Arnaboldi cgt. Moratti, con le liste in appoggio al 43,28%, che segna un catastrofico tonfo del berlusconismo nel luogo stesso dal quale sciaguratamente si diffuse.
Milano già rappresentò per fascismo e craxismo l’inizio e la fine: può ben essere che dopo quella della tragedia, e dell’operetta, a Milano ora si chiuda anche la stagione del cabaret. Il dimezzamento delle personali preferenze, per uno che pavoneggiandosi da capolista ne aveva reclamato l’aumento, (“sono elezioni cittadine ma sono forse anche di più elezioni politiche nazionali”), è una performance di popolarità tale da avere affondato, al primo turno, anche la sig.ra Moratti – che non sarà amatissima ma nemmeno direi così tanto disprezzata come l’omino del bunga bunga.
Fosse vero che “Milano libera tutti”, e più per repulsione del berlusconismo che per fiducia nel pidismo, sarebbe davvero un bel regalo al paese. In effetti certi espedienti mai visti prima, offensivi per i Milanesi, cui la parte Moratti ha fatto ricorso in campagna elettorale, sembrano indicativi di un regime arrivato al capolinea e ormai preda di un terrore disperato. Ma è tutto da vedere.
Pisapia, per quanto noto, è una persona molto perbene: una rarità, di questi tempi. Ma è oggettivamente idoneo al compito per il quale si è proposto?
La sua debolezza politica, quella che finora gli ha dato forza, è di essere relativamente estraneo – ancor più della Moratti – al sistema “corporate” dei partiti, cioè al complesso politico-affaristico, che nondimeno, purtroppo, sembra accerchiarlo. Va anche tenuto conto che la coalizione di sostegno include forze eterogenee (dalla lista Pannella-Bonino alla Federazione della Sinistra) tutte piuttosto piccole tranne il PD che al primo turno ha conseguito il 28,63% mentre le sette altre liste hanno totalizzato, insieme, il 18,63%. Tra candidati e sostenitori, poi, si notano anche taluni vecchi arnesi del craxismo locale. Si prospettasse mai una svolta decisa, che voglia sottrarre la città alla morsa dell’affarismo sviluppista e speculatore, come reagirebbe il coacervo tenuto finora insieme dalla comune tensione a vincere?
MS
(continua – la prima parte è di oggi 29 maggio 2011)

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